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Socialism and Res Publica

Rehab socialism means come back before Marx, when socialism and spiritualism were intertwined. We should study the American Transcendentalist movement (Emerson, Thoreau) and the work made by the early Theosophist, like Olcott, Mazzini, Paine and more.

The true identity of Socialism is the Republican system and not Democracy, that is meaningless. It is impossible to have a real democratic government system, while the republican one is the more effective, concerning the national system as common good, Latin “Res Publica”.

The nucleal core of this idea concerns the way to come out the unbreathable air of the materialism and come back to the mystical idea of XIX century philosophers who believed that after the Age of Light would have arrived an Age of Reason.

This idea has been rejected by the ruling establishment of all nations. Notwithstanding the Republic has been the government system that has been able to go beyond the absolutism of middle age monarchies, because of this reason the ruling aristocracy, after they become able to absorb the emerging bourgeois class, the obscured “Republic” with “Democracy”.

In America, the conservatives took the label “Democracy”, while something of the original spirit was preserved in the socialist area in eastern Europe and Russia, at least before Stalin transformed it in an intolerable oppression system, a traitor of the international workers which issue was the “socialism in just one country”, something that conserved of socialism and republic just the words without their meaning.

We should restart our thought with something that will start from the last line where the words “socialism” and “republic” had their real meaning, related to “progress” not just as a simple growth of production, in the materialistic sense, but as the stepwalk of human awareness, consciousness, emancipation, freedom.

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Repubblica

Sarebbe giusto ricordare che il 2 giugno è la festa della Repubblica e non del nazionalismo. I grandi Padri della Patria, tra i quali il misconosciuto Mazzini, pensavano alla Repubblica nazionale come situazione provvisoria verso l’Alleanza Universale delle Repubbliche. Festa della 

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Figlio del Drago

recensione a MARIA DRAGO MAZZINI di Bianca Montale

 

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La biografia pubblicata a cura del Comune di Genova nel 150° anniversario della Nascita di Giuseppe Mazzini, reca la firma di Bianca Montale, che sarebbe poi divenuta Direttrice dell’Istituto Mazziniano, membro del Consiglio di Presidenza nazionale dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e della Commissione nazionale editrice degli scritti di Mazzini. Inoltre, come il cognome e la città natale fanno presagire, l’autrice è nipote (e curatrice degli scritti) di Eugenio Montale.

Con questa predisposizione, Bianca Montale è una donna che scrive di una donna, e lo fa con rigore ed onestà. E ci avverte, e ci informa: «Voler ricercare in lei la pensatrice o la letterata significherebbe falsarne la figura e lo spirito e diminuirne la grandezza. Poiché essa è grande per un motivo tutto diverso. Perché ha saputo dimenticare se stessa, donare con semplicità senza nulla ricevere, sacrificare in silenzio ogni cosa più cara. In Maria si rivela un mirabile equilibrio tra la tendenza al misticismo – la sublime fiducia nella divinità, il disprezzo per chi dalle cose di Dio si allontana – e la concretezza pratica della donna d’azione che vive degli affetti che la legano alla terra ed è lontana da forme di negativa astrazione e contemplazione. Essa sa vivere una concezione morale rigida e severa che innalza a Dio chi sa attuarla.»

Il misticismo di Giuseppe Mazzini è già completamente innestato nella concezione della vita di sua madre, e si amplifica attraverso i precettori giansenisti che curarono la prima educazione di Giuseppe da bambino. La sintesi del giansenismo è nel trasmettere ad ognuno la consapevolezza di non esser nato per caso, ma di avere una missione. L’abate De Scalzi, con cui Giuseppe compirà gli studi di grammatica, e poi l’abate De Gregori, di cui frequenterà i corsi di umanità e di retorica, trasmetteranno nel ragazzo gli insegnamenti della dottrina di Cornelis Jansen, che in lui rilucono chiaramente quando scrive: «Noi non siamo che un pensiero religioso incarnato. Abbiamo una missione. Che importa che riesca o no? La vita non finisce quaggiù…»

Questa impostazione, fondamentale sotto il profilo delle radici culturali, non dev’essere scambiata per rigida impostazione religiosa. Bianca Montale non cade certo in questo errore e chiarisce: «Mazzini, profondamente credente nell’intimo dell’animo, ha una fede in Dio che nessuna delle religioni terrene contempla, in diretta comunione con la coscienza dell’umanità, e per questo si allontana dal sistema di gerarchie della Chiesa cattolica».

È perfettamente chiaro, in questo credere nell’intimo dell’animo, in diretta comunione con la coscienza dell’umanità, la consapevolezza esoterica che Giuseppe ha maturato nei suoi molteplici viaggi e attraverso il contatto con intellettuali europei che gli hanno aperto altre visioni sul mondo dello spirito. Nello stesso tempo, l’amore per la madre e il suo desiderio di trovare con lei punti di intesa, gli faranno comprendere che la leva della religione rimane la forza di base per l’educazione del popolo. In questo modo, Giuseppe non rifiuterà mai di parlare con linguaggio semplice, per farsi capire da tutti, per essere fedele al verbo e al desiderio di sua madre e così potendo adempiere ad un ruolo non confinato alla dimensione intellettuale appannaggio di pochi, ma esser veramente apostolo popolare.

È sua madre che lo sostiene nel momento della prima grande svolta, quando si oppone al desiderio di suo padre che avrebbe voluto divenisse medico come lui, e invece lui sceglie la giurisprudenza. E, soprattutto, è sempre lei, sua madre, ad essergli accanto all’indomani della tragedia del 1833 quando, in seguito al ritrovamento della polizia di documenti dell’associazione clandestina “Giovine Italia”, molti vengono arrestati e Jacopo, l’amico di sempre, l’amico più caro, si suicida in carcere.

Lei rimane lucida, non si perde nello sgomento, capisce subito la necessità di eliminare ogni traccia che possa compromettere il figlio. Soprattutto, non lo abbandona nel momento in cui tutti fuggono via, continua a sostenerlo mentre è in fuga, ormai sotto condanna a morte, definito “nemico della patria e dello stato”: gli fa pervenire aiuti finanziari, all’insaputa del padre, che lo ritiene responsabile delle sciagure accadute, che vorrebbe mutasse atteggiamento e si disponesse a implorare per il perdono. Solo lei, sua madre, resta l’unica a dirgli di non abbandonare l’ideale. Gli raccomanda di essere prudente, di fare attenzione, ma di non mai desistere: «Si il prediletto di Dio… io veggo già la tua innocenza coronata in cielo, il tuo nome è destinato a sfolgorare in eterno tra i benefattori dell’umanità» giunge a scrivergli, e lui risponde: «Nei più acerbi miei palpiti una voce di sicurezza si facea sentire entro di me dicendomi: il figlio tuo non perirà, poiché lo protegge Iddio… questa è la mia fede.»

La fede, ancora, che per Maria è stimolo fervente, per Giuseppe è la voce della coscienza, e per entrambi è la scintilla che li unisce allo Spirito.

E ancora, Maria Drago Mazzini è la donna che fa di casa sua il luogo del figlio, anche quando lui non c’è perché in esilio, per ognuno che venga a parlare di lui e delle sue idee, ad animare progetti di libertà e di repubblica, la sua casa è sempre aperta: e sarà un circolo in cui le donne più sensibili mettono radici, come Carolina Celisia, Nina Cambiaso, Fanny Balbi, Carlotta Benettini e, naturalmente, Giuditta Sidoli, di cui per lungo tempo sarà “l’angelo intermedio”. O come quando incarica Filippo Bettini di ricerche su Giordano Bruno, o a Bernardo Ruffini studi su Foscolo.

Tutto questo fa di loro due anime inscindibili, che ancora ardono in unica fiamma, riunite come Giuseppe un giorno scrisse: «Noi ci riuniremo un giorno dove Dio ci avrà destinati: crediamolo con fiducia.»

SALVEMINI: UN MAZZINI POSITIVISTA?

SALVEMINIRecensione a Gaetano Salvemini: il filosofo, lo storico, il politico di Antonino Di Giovanni

Anche per le sue sembianze, la conformazione del viso, la barba bianca, Salvemini venne talora inteso come un “Mazzini redivivo” e senza dubbio lo fu nella sostanza: anche se i tempi vissuti da Salvemini, i tumultuosi anni della degenerazione autoritaria del giovane stato italiano, avevano attraversato un cambiamento epocale che rendeva alcuni riferimenti inapplicabili. In particolare, l’idealismo era attaccato da destra e da sinistra. Il demone del materialismo storico si era impadronito della sinistra, mentre la destra rivendicava ogni impostazione spiritualista ma divorandola e risputandola in una forma nuova, inusitata e insostenibile.

Per spiegare questo passaggio, Di Giovanni richiama Norberto Bobbio che riporta a sua volta la lettera di Salvemini a Gobetti, in cui lo storico definisce le basi del suo pensiero «Illuminismo, storicismo, marxismo». Conoscendo l’insanabile antinomia tra il gradualismo spiritualista di Mazzini e il materialismo storico di Marx, troviamo qui le ragioni di una differenza che, se pur può avere basi comuni nell’illuminismo, diverge ampiamente negli altri due termini della triade.

Sono i tempi che richiedono un’analisi diversa. Salvemini prende la posizione del positivismo politico. Salvemini, afferma Di Giovanni, interpreta questa posizione con «scelta di campo anti-idealistica», nel quadro della montante degenerazione dell’idealismo soggettivista divenuto «vago ed equivoco».

In questo senso, Salvemini si oppone a tutti questi intellettuali che tradiscono la deontologia della chiarezza e dell’onestà. Questa visione cristallina gli permetterà di denunciare da subito l’invasione e il deterioramento degli spazi democratici, a denunciare l’insostenibilità dell’imperialismo, la sventatezza della decisione della guerra coloniale in Libia, l’emergente culto dell’autorità che porterà al fascismo.

Tra i sottoscrittori della dichiarazione sull’assassinio Matteotti, sostenitore del Circolo di Cultura di Firenze e del giornale NON MOLLARE, il professore Gaetano Salvemini viene arrestato nel 1925 dalla polizia fascista. Paradossalmente, proprio un’amnistia data dal governo per liberare quanti erano stati invischiati nel delitto Matteotti, lo rimette in libertà, riparando in Francia dapprima e, dal 1927, in America, dove ebbe un importantissimo ruolo nella fondazione della Mazzini Society e le attività del movimento internazionale dei lavoratori.

Su Mussolini, non è possibile equivocare. Seguendo le impronte di Salvemini, Di Giovanni è lapidario: «Il fantoccio fu Mussolini. Questi è il propagandista della combinazione di alte autorità militari, grossi proprietari di terre e grandi industriali (…) la dimensione per così dire estetica del potere (…) funzioni decorative e teatrali (…) L’unico ministero al quale Mussolini si dedica con tutto il cuore e con gran successo è un ministero che non esiste ufficialmente: il ministero della propaganda».

La chiara visione di Salvemini viene da lontano: già ben prima che il fascismo prendesse il potere, il professore aveva visto con chiarezza la deriva del culto dell’autorità dato in pasto al populismo. Più in profondità, aveva visto anche il vero committente della visione interventista. Scrive ancora Di Giovanni: «Il Banco di Roma (…) nel 1880 la sua costituzione era avvenuta per iniziativa di membri dell’aristocrazia cattolica “nera” della capitale (…) i cattolici erano entrati nella vita politica del Paese come gruppo di pressione che aveva in mano una banca (…) la prima mossa nello scenario internazionale dei nobili uomini d’affari papalini (Borghese, Rospigliosi, Giustiniani-Bandini, Gabrielli, Soderini, capitanati dal dinamico presidente Ernesto Pacelli (…) penetrare economicamente in Tripolitania».

Acutamente riportato in incipit al terzo capitolo del libro recensito, questo semplice aforisma di Salvemini racchiude lo spirito di un’epoca, restando drammaticamente attuale: «l’imperialismo è odioso nei forti e ridicolo nei deboli».

L’idea di Mazzini in Ezra Pound

L’abitudine di stare dalla parte sbagliata non apparirà una novità o una sorpresa se riferita a Ezra Pound. Qui il riferimento non è all’aspetto più noto, ma ad un’altra vicenda, totalmente filosofica. Nel volume curato da Carroll Franklin Terrell, A Companion to the Cantos of Ezra Pound (Volume 2), c’è una nota, la 244, dove Terrel riporta Pound che dichiara: «As a Cavourian, I long neglected the writings of Mazzini». La frase fa presagire un’avversativa, che infatti arriva puntuale, dimostrando tra l’altro la capacità di Pound di riconoscere gli errori, di cambiare idea. Scrive Terrell: «Subito dopo [Pound] cita con approvazione da Doveri dell’Uomo di Mazzini, trovandovi l’idea costruttiva di credito sociale: “La distribuzione del credito … non dovrebbe essere attribuita al Governo, né ad una Banca Centrale ma, con l’occhio vigilante del potere nazionale, da banche locali dei municipi elettivi locali”».

Il punto che qui si manifesta è che Ezra Pound è stato un poeta fondamentale del Novecento. Contrariamente a quanto qualcuno vorrebbe, Pound non è riducibile ad una unica interpretazione del suo pensiero. A cominciare dal suo nome, così chiaramente ebraico e al suo ossimorico antisemitismo, che è un paradosso solo in apparenza: perché Ezra Pound prende posizioni anticapitalistiche, in opposizione alle scelte politiche e di imperialismo economico che sono state l’arma del sionismo. Convinto che anche il marxismo non fosse null’altro che un inganno (nel quale i mazziniani riconosceranno l’annichilimento dello spiritualismo gradualista in favore dell’arido materialismo storico), Pound credette che il nazionalsocialismo fosse un male necessario, attraverso il quale giungere a sconfiggere il sistema capitalista. Il senno di poi dice che s’ingannava, che favorì la costruzione di un mostro. Ma, adesso che siamo in una fase di studio dei documenti della Shoah che ha superato il negazionismo e il riduzionismo, possiamo accettare come storicamente acquisito che molti furono gli ebrei che si lasciarono persuadere dalla sirena del fascismo (e del nazismo), quindi non stupiranno le posizioni di Pound, che comunque non furono mai così ingenue, come dimostra una lettura appena più che superficiale delle sue opere.

Il brano di cui si può ascoltare l’esecuzione attinge al repertorio dei Cantos, per trovare gemme del pensiero come «con un solo giorno di lettura un uomo potrebbe trovare la chiave (…) per capire il latrocinio dei ricchi che derubano il pubblico per il proprio guadagno individuale privato» (LXXIV-6-27), tema dell’anticapitalismo, ma anche «il dominio di un solo uomo è un’insana idolatria» (LXXVI-22) che stride dannatamente con il concetto fascista ed è comprensibile soltanto alla luce di un’idea superiore, che è chiara a Ezra Pound, ma non ai suoi epigoni. Infine, e soprattutto (LXXVIII-f):

«NON CI SONO GUERRE GIUSTE»

L’altro Mazzini

Sono numerose le biografie su Mazzini, ed altrettanto numerose sono quelle che cominciano ammettendo una certa qual ineffabilità del personaggio, sia in politica che in filosofia. Ancor più sfuggente è il critico d’arte e, nascostissimo dalle molteplici vesti, finalmente, l’artista: che è l’immagine pubblica probabilmente più vicina all’uomo. Per verificare se vi sia o no legittimazione nel sostenere che oltre al compassato Mazzini scolastico, imbalsamato nella posa carducciana de “l’uomo che mai non rise”, è sufficiente scorrere l’indice dei nomi delle biografie principali. Fate la prova: all’interno di nessuna di queste troverete i nomi di Helena Petrovna Blavatsky, di John Yarker, di Elifas Levi, di René Guénon che pure ebbero (i primi tre contemporanei, l’ultimo fonte novecentesca), grande rilievo per lo sviluppo del pensiero mazziniano. Questo viaggio di introspezione è il percorso tentato con il MAZZINI OCCULTO, con inquadrature che vanno dalla sfera intima degli affetti privati alla sua centralità nel panorama esoterico dell’Ottocento. Chi vuol esaminare una prospettiva inusuale per avere una lettura molto distante dagli stereotipi – ma non per questo meno fondata e documentata – troverà nella fonte indicata molti spunti e importanti approfondimenti. Tra questi, non secondario il ruolo che la musica, in specie, la canzone accompagnata dalla chitarra, ebbero per la vita sociale di Mazzini, specialmente negli anni dell’esilio in Svizzera e poi in Inghilterra, dov’è legittimo immaginare un uso politico della chitarra. Custodita oggi nella casa-museo di Genova, la chitarra è una “Fabbricatore”, liutaio napoletano molto apprezzato nell’Ottocento. Di testi e spartiti autografi di Mazzini, purtroppo non rimane che “Il canto delle mandriane di Berna”, una nenia che egli adattò come canto di nostalgia per la donna più amata, tormentata dalle difficoltà dell’esilio e che qui si presenta con titolo, tratto dal primo verso del testo “Perduto Fior”.

Un altro brano, che non è possibile attribuire con certezza a Mazzini ma che di certo egli dovette conoscere, è il “Canto dei Carbonari”, altrimenti noto come “La bella che guarda il mare”, allegoria dell’Italia che, prigioniera, vuol liberarsi. Anche qui, l’immagine del donna “con tre colori in testa”, fa pensare proprio alla donna più amata da Mazzini, Giuditta Bellerio, che portò il tricolore durante i giorni della rivoluzione a Reggio Emilio, dove ancora si conserva presso il museo civico come prima bandiera italiana.

Mazzini secondo Taxil

Per quanto vituperato, Gabriel Antoine Jogand Pagès (Les Frères Trois Points, 1885), resta fonte imprescindibile per comprendere la storia delle confraternite esoteriche in Europa. Pubblicando dietro lo pseudonimo di Léo Taxil, Pagès generò un gran clamore scandalistico, rendendo disponibile al largo pubblico l’intera struttura della Massoneria Azzurra e di tutti i suoi principali riti di perfezionamento, in specie il Rito Scozzese.

Taxil_Leo_Les_Freres_Trois-Points_Volume_1L’atteggiamento di Taxil, come ci siamo trovati a dire altrove, non è ancora moderno, nel senso che, nel pubblicare questi materiali coperti dal segreto, non appare in lui la carica entusiastica e profetica che possiamo trovare in un autore di due decenni a lui posteriore, come Aleister Crowley. L’inglese, con il suo aperto declamare di voler donare a tutti qualcosa che prima era riservato a un nucleo ristretto di privilegiati, è assolutamente moderno; mentre il francese è ancora legato allo schema del pentimento: la terribile setta alla quale appartenevo, dalla quale mi sono liberato e di cui vi rivelerò adesso i tremendi segreti.

L’opera di Taxil, non a caso, è stata resa ridicola dai suoi detrattori. In effetti, quando si entra nei malfermi corridoi della letteratura esoterica, questo rischio è sempre presente, proprio perché queste correnti del sapere tentano di entrare nella dimensione del sublime e, per via delle umane imperfezioni, cadono di livello e si aprono al ridicolo. Tuttavia, con un approccio conoscitivo che va mutuato dalle scienze dell’uomo, queste fonti vanno trattate, perché esistono e hanno avuto influenza. Occorre ricordare, in proposito, la lezione teoretica di Marc Bloch, che ha saputo dimostrare [con I Re Taumaturghi, ndr] che per la storiografia non è tanto importante che un fatto sia vero o meno quanto che sia riportato come tale, per valutarne gli effetti che ha avuto su eventi che si sono compiuti in dipendenza della convinzione, giusta o sbagliata che quel fatto si sia verificato.

Taxil parla di una Alleanza Cosmopolita, che aveva un comitato internazionale centrale a Parigi e, attraverso la società dei Filadelfi, aveva riunito personalità avverse al sistema di governo di Napoleone. Da altre fonti, sappiamo che tra i fondatori dei Filadelfi vi era Charles Nodier, direttore della Biblioteca dell’Arsenal a Parigi, luogo frequentato dal noto esoterista Eliphas Levi, che ebbe numerosi e importanti contatti con l’Inghilterra e con l’Italia. In Inghilterra, Levi entrò in contatto con lo scrittore Edward Bulwer-Lytton, membro della Societas Rosacrociana in Anglia. In Italia il legame di Levi era segnato dal suo rapporto con il suo Maestro ed Iniziatore Don Antonio Marino, animatore di un cenacolo napoletano che raccoglieva esponenti del Martinismo, della Massoneria Egizia e del pensiero esoterico delle Due Sicilie, tra cui il Barone Spedalieri, cui è dedicata la sua opera sui Sigilli delle Clavicole di Salomone.

Tornando a Taxil, è lui che riferisce all’Alleanza Cosmopolita la presenza di Filippo Buonarroti, che sarà uno dei protagonisti della Comune di Parigi. I capitoli III e IV del supplemento al libro di Taxil sono interamente dedicati a Giuseppe Mazzini. Ne narra la trasformazione che il genovese operò della Carboneria in un’operazione nuova: la Giovine Italia. Preoccupato di soddisfare il suo committente, che è la Chiesa, Taxil si affanna a descrivere Mazzini come un settario. l’iniziatore di una spietata guerra alla religione e che, al suo insediarsi all’epoca della Repubblica Romana, non avrebbe fatto che «rubare gli argenti e gli ori consacrati al culto cattolico». Ad onor del vero, Taxil riporta la lettera pubblicata da Mazzini stesso sul Globe di Londra il 30 agosto 1849, trascrivendo: «Non ha fondamento alcuno, ed è calunnioso ciò che è stato pubblicato intorno all’anarchia che si è preteso regnare in Roma sotto il regime repubblicano. Era necessario infamare quelli che si volevan distrutti».

L’esperimento di Taxil, in ultima analisi, resta piuttosto meschino negli scopi e mediocre nella raffinatezza intellettuale. Anche nel costruire il profilo esoterico di Mazzini, infine non fa che poco più che imbottire i suoi pregiudizi orientati all’estetica del committente con notizie storiche tratte prevalentemente dal libro di Jesse Mario. Per trovare altri argomenti sul Mazzini esoterico bisognerà ricorrere ad altre fonti.

Radici Mazziniane

nel pensiero di Carlo e Nello Rosselli

recensione al volume di Giovanni Spadolini [collana “Letture Rosselli”].

spadolini.jpgIl volume racchiude il discorso pronunciato il 25 novembre 1989 in occasione della cerimonia di inaugurazione della Fondazione Rosselli. Giovanni Spadolini, repubblicano, statista che ricoprì alti incarichi istituzionali, primo ministro tra il 1981 e il 1982, comincia il suo discorso dal legame familiare che sussiste tra i Rosselli e Mazzini.

Pellegrino Rosselli e Sabatino Rosselli sposano, rispettivamente, Harriet e Janet, figlie di Sara Nathan, ultima compagna di Mazzini, che passa i suoi ultimi giorni proprio a casa di Pellegrino, a Pisa, dove si spegne nel 1872.

Carlo e Nello sono figli di Giuseppe Joe Rosselli e Amelia Pincherle. Giuseppe (detto Joe) era figlio di Sabatino, quindi prosegue in modo diretto e legittimo quell’eredità. Questi aspetti familiari rimettono ordine su certi abusi che, soprattutto con Gentile, avevano provato a fare di Mazzini il padre nobile del nazionalismo fascista. L’idea, è evidente, non ha fondamento. Di più: offende la radice stessa della verità; perché i fratelli Rosselli furono assassinati da sicari mandati dal regime fascista.

«Noi siamo nati a nazione in nome della libertà, della autodeterminazione dei popoli. I nostri profeti si chiamano Garibaldi e Mazzini», trascrive Spadolini da Carlo Rosselli, e prosegue di suo pugno, dicendo: «Nel momento in cui l’Italia di Mussolini accorreva in soccorso della Spagna di Franco, nella comune sfida all’intera Europa civile, il fondatore di “Giustizia e Libertà” ricordava quali erano le origini dell’altra Italia: quella che si schierava dalla parte della Spagna repubblicana; quella che si opponeva insieme alla dittatura di Mussolini e alla nascente dittatura di Franco.»

Un altro punto importante del discorso di Spadolini è il modo pregnante con cui Mazzini si associa a Dante nella creazione dell’Italia e dell’Europa (per inciso: chi potrebbe accostare Mussolini a Dante senza aver sentore di bestemmia?). Scrive Carlo Rosselli: «Bisogna che l’Italia si svegli, che la lotta si riaccenda sulla terra di Dante, di Mazzini e di Matteotti», aggiungendo il nome del coraggioso deputato socialista che, denunciati i crimini del fascismo, venne ucciso dagli squadristi del regime.

Ed ancora, Spadolini trascrive da Carlo Rosselli: «L’obiettivo di tutte le forze antifasciste e antinaziste è uno solo: “fare l’Europa”, convinto che al di fuori di questo traguardo non ci fosse “possibilità di pace e disarmo”».

Ma, intanto, l’Europa è diventata un’altra cosa. Una tecnocrazia che sta alimentando il divario tra classi sociali.

E allora c’è davvero bisogno di reinterpretare l’idea progressista.

E l’idea più feconda è quella dei Rosselli che, partendo da linee interpretative differenti (socialista quella di Carlo, liberale quella di Nello), convergono nel ricondurre l’idea di Mazzini come proiezione perfetta del primo socialismo saint-simoniano, libera dal materialismo, aperta a un’idea che reintegra la visione irrazionale, spirituale, all’interno della componente politica progressista, che la reclama.

La Giovine Europa

La Giovine Italia ha per iscopo:

La Repubblica, una e indivisibile, in tutto il territorio italiano, indipendente, uno e libero:
La distruzione di tutta l’alta gerarchia del clero e l’introduzione d’un semplice sistema parrocchiale;
L’abolizione d’ogni aristocrazia e d’ogni privilegio, che non dipenda dalla legge eterna della capacità e delle azioni;
Promozione illimitata dell’istruzione pubblica;
La più esplicita dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.

kellerNon faremo qui l’analisi dei contenuti dei documenti dell’organizzazione mazziniana, ma spostiamo il focus dall’Italia all’Europa attraverso la recensione del testo di Hans Gustav Keller “La Giovine Europa – Studio sulla storia dell’idea federalistica e di quella nazionale“, che prende le mosse, per individuare le ragioni del cosmopolitismo mazziniano, dal trattato che Immanuel Kant pubblicò nel 1795, “Alla pace perpetua”.

Questa focalizzazione è utile a sedare immediatamente quelle sventate e approssimative letture che vedono in Mazzini un fiero nazionalista: errore. Keller coglie lo spirito del pensiero mazziniano, scrivendo: «Senza Patria, non è possibile ordinamento alcuno dell’Umanità. Senza Popoli non può esistere Alleanza di Popoli (…) L’Umanità è il fine: la Nazione, il mezzo.»

Nel suo tentativo di trovare le origini di questa mirabile idea mazziniana, Keller fa risalire al 1306, ai giorni in cui l’impero, rappresentato da Filippo il Bello, e il papato, rappresentato da Bonificio VIII, contendenvano la pretesa di impero universale, quando Pierre Dubois concepì l’idea di associazione dei popoli per garantire la pace.

Questa idea attraversò i secoli restando sempre sotto coscienza ed anzi, nel tempo di Mazzini, dice Keller «la vivente individualità della nazione vinse l’universalismo supernazionale» e l’innovazione formidabile dell’idea del genovese: «Dalla composizione dell’idea di nazionalità con quella di associazione nacque l’istanza politica d’una confederazione generale dei popoli unificati nella rispettiva compagine nazionale e retti a repubblica. Il primo ma ancora inadeguato tentativo di costituire in Europa una società delle nazioni è la creazione mazziniana della “Giovane Europa”».

La Giovine Europa trasse alimento da emigrati politici e profughi, che appartenevano alle correnti repubblicane e democratiche della borghesia e ai gruppi rivoluzionari del ceto operaio. Erano per lo più scrittori, pervasi dall’utopia che fosse venuto il tempo della liberazione dalla tirannia, a condizione di creare un popolo capace di assorbire il senso profondo, spirituale, del dovere e volgere in funzione del progresso.

Si discute – e questo non è certo un punto secondario – se i semi della Giovine Europa possano essere chiamati essi stessi Prima Internazionale, come fa Keller richiamando il testo di Adolf Saager Giuseppe Mazzini, die Tragödie eines Idealisten o se, invece, rimanga inconciliabile la prospettiva repubblicana con il socialismo marxista che caratterizzò gli sviluppi della Prima Internazionale.

L’opera di Carlo Rosselli è particolarmente importante proprio per comprendere questa nervatura politica, che fu anche motivo di divisione tra Mazzini e Garibaldi che, dopo essersi riconciliati in Inghilterra, trovarono reciproco dissenso quando Mazzini rimase irremovibile alla nuova sensibilità socialista che invece Garibaldi abbracciò.

Idea feconda ancora oggi per la politica attuale, perché Mazzini offre un’idea di emancipazione delle classi subalterne immune dalle derive del materialismo storico offrendo una via alternativa al socialismo, su cui si dovrebbe riflettere, se ci fosse una politica capace di avviare riflessioni di questa importanza.

 

Boia chi molla, anzi, NON MOLLARE

NON MOLLAREÈ interessante sapere che NON MOLLARE fu un giornale clandestino diffuso nel 1925, fino alla promulgazione delle leggi speciali del regime fascista che segnò la fine della libertà di stampa.

Il giornale prende vita per reagire al rogo fatto dalle squadre fasciste ai danni del Circolo di Cultura di Firenze. I fratelli Carlo e Nello Rosselli, mazziniani per credo politico e per continuità di rapporti anche familiari, diedero vita a Non Mollare proprio per contrastare il fascismo.

Gli esiti furono tragici. I socialisti Gustavo Console e Gaetano Pilati e il repubblicano e massone Giuseppe Becciolini.

Con tutta evidenza, i pretesi neofascisti della modernità, tifosi da stadio e teppaglia da pestaggi, quando scandiscono “boia chi molla” dovrebbero sapere – e non sanno – che NON MOLLARE reca la macchia indelebile della crudeltà liberticida del fascismo storico, appunto, l’ombra del boia da loro evocata.